martedì 8 marzo 2011

avarlia

giovedì 18 novembre 2010

Incontro con Antun Blazevic

lunedì 8 novembre 2010

ZINGARO FELICE

Tante persone sono nate o dentro un ospedale o dentro una casa, io ho avuto il culo di nascere dentro un treno in pieno inverno, nel tragitto tra Belgrado e Sremska Mitrovica, nell’ex Jugoslavia che è lunga sessantotto chilometri, ma a quei tempi ci serviva minimo mezza giornata con il treno a carbone.
E non sto scherzando, non c’è niente da scherzare, nascere dentro un treno, un totale caos, maschi che scappavano dal compartimento, il controllore dei biglietti è svenuto quando ha visto quanto ero brutto (meno male cosi al meno non pagavo il biglietto).
Ma il vero problema è quante cazzate devi sentire appena nasci, così tante che già da piccolo ho cominciato a odiare i passeggeri. Ognuno aveva qualche consiglio da dare a mia madre, senza rendersi conto che la poveretta era svenuta e non poteva sentirli. Una signora magra e delicata come un elefante in un negozio di porcellana, non chiudeva la sua bocca, tanto larga che ci potevi parcheggiare un tir.
Diceva che ero tale quale mio padre, ma come poteva conoscere mio padre, che, appena si era reso conto che mia madre era partita per Belgrado per partorirmi, si era così ubriacato, non so se per la gioia o la disperazione, che aveva sbagliato il treno e perso un cavallo (meno male che lo aveva trovato per strada). elefante urlava, strillava, ‘e’ bello, o quanto e’ bello, finché non è arrivato il capotreno e in modo molto gentile l’ha mandata a quel paese.

Dopo un’ora di viaggio, ci hanno portato in ospedale, era meglio se non venivo: al pronto soccorso sono cascato dalle mani di una vecchia infermiera e mi sono rotto il braccio, poi quando l’ostetrica mi visitava, girandomi per i piedi sotto sopra, per due volte ho sbattuto la testa sul lettino. Nella mia prima giornata ho capito che la mia vita sarebbe stata molto difficile e che avrei dovuto sbattere la testa a destra e a sinistra per sopravvivere e così è stato fino ad oggi. 

Nella mia vita esistevano solo due Luise, mia moglie e la mia cavalla. Non so per quale delle due ho pianto di più. Da noi un uomo senza una donna non è un vero uomo, perciò per potermi sposare dovevo in qualche modo guadagnare i soldi, perché, si sa, uno brutto come me, senza soldi, dove la trova una bella donna … Ho imparato a giocare a carte e nel giro di due anni sono riuscito a diventare più povero di prima, se prima non avevo niente, adesso ancora di meno. Mi dovevo trovare un lavoro urgentemente (con urgenza), ma avevo sempre un grande problema, ogni volta, quando mi veniva voglia di lavorare, io mi sedevo finchè non mi passava.
Dopo questa esperienza di giocatore, ho dovuto per forza cambiare mestiere. Noi rom siamo persone con tanti mestieri, l’unica cosa che ci frega e qualifica è che tutto quello che sappiamo fare sono i lavori tramandati da padre a figlio. Mio padre, per esempio, essendo d’etnia lovara, mi ha insegnato come si domano i cavalli, ma siccome noi non ne avevamo, li dovevo andare a cercare, e vi posso dire che si trovavano sui pascoli liberi e belli, bastava solo prenderli. Avevo le tasche piene di zucchero e di carote, perché i cavalli vanno matti per queste cose, mi avvicinavo, gli davo da mangiare e loro venivano dietro di me. Purtroppo avevo il problema di nasconderli, ma si sa bene che ogni problema ha la sua soluzione, così ogni sabato, prima di andare a vendere i cavalli, io e mio padre (furbo) li dipingevamo con la fuliggine, per questo tendenzialmente preferivamo prendere i cavalli bianchi.

I nostri affari andavano molto bene, finchè una domenica abbiamo portato i due più bei cavalli mai visti in questa zona (infatti non provenivano da questa zona); all’improvviso ha cominciato a piovere, una disgrazia tira l’altra, perché nella fiera ci stava pure il proprietario dei due cavalli e dove ci sono le fiere ci sono pure i poliziotti. Comunque mio padre, in modo molto coraggioso, ha ammesso che tutto il lavoro con i cavalli l’avevo fatto solo io e pure mi ha dato una cinquina, dicendomi: “ecco perché la gente ci guarda così male, tutto per colpa di voi mocciosi che andate a rubare alle persone oneste.”

Visto e considerato che non ero bravo come cavallaio e che già tutti mi conoscevano per quello che ero, cioè un onesto, bravo e vivace bambino che aveva sbattuto la testa da piccolo, ho deciso di andarmene alla ricerca della fortuna in un paese straniero. Uno dei paesi di cui ho sentito parlare come di un paese molto ricco e bello, è l’Italia, mi hanno detto che è facile trovare casa e lavoro. Il primo giorno che sono arrivato a Roma, la città più grande per opportunità di lavoro, dovunque chiedevo tutti dicevano  “ma qui neanche agli italiani piace lavorare, immagina a uno zingaro”. Non capivo come sapevano che ero uno zingaro, se neanche io ero uno zingaro puro: mi sono accorto solo dopo, quando ho sentito una signora che criticava suo figlio dicendogli “sei sporco come uno zingaro”.

Giorno dopo giorno andavo in giro alla ricerca di ‘sto benedetto lavoro, guardando la gente ai semafori che chiedeva l’elemosina, poi mi venne un lampo di genio.
E finalmente me lo trovai, un lavoro: chiedere l’elemosina, che ci vuole, ti metti al semaforo e aspetti che si fermano le macchine, sotto il sole di 40° ti fai due-trecento metri con la mano tesa e basta dire “scusa hai qualche spiccio?” O magari sotto la pioggia, quando le persone neanche ti aprono il finestrino, e qualcuno ti manda pure a quel paese, lì capisci che hai trovato un lavoro serio. Tutto andava bene, facevo lo slalom come Alberto Tomba in mezzo a macchine e motorini, perché dovete sapere che fa male se la ruota di una BMW ti passa sopra il piede o ricevi una gomitata nelle costole da un motociclista. Sapendo che agli Italiani gli zingari non piacciono, mi sono fatto  un cartone con sopra scritto, “sono padre di 7 figli senza lavoro”: il primo autista che lo ha letto mi ha risposto “’sti cazzi, potevi pensarci prima!”.

Dopo una giornata così proficua di lavoro, alla sera mi appartavo dentro la mia roulotte al Casilino 700, e mi riposavo in compagnia di topi più grossi dei gatti (infatti i gatti non ci stavano), che entravano da tutti i buchi, poi alla fine quando ho dovuto blindare la roulotte, mi sembrava Fort Knox, dentro era tutta di metallo. Il bello del campo Casilino 700 era che non avevi nulla, nè acqua nè luce, solo il fango quando pioveva e la polvere durante l’estate, e ci vivevano 1.800 persone, divise in 6 etnie diverse (Bosniaci, Macedoni, Montenegrini, Cergaria e Kosovari, oltre ai Rumeni che sono venuti negli anni novanta) più i magrebini che stavano in disparte, erano quelli che vendevano tappeti durante il giorno.

Bambini

Una mattina mi sono svegliato di soprassalto per le urla, esco fuori dalla roulotte e vedo una scena meravigliosa. Due pantere dei carabinieri di zona, che ci conoscevano tutti, e  un brigadiere che parlava con il vecchio Sefko, che era considerato l’uomo di fiducia di tutto il campo (se uno vuole far sapere in giro una cosa, basta raccontarla a Sefko e raccomandargli di non dirlo a nessuno: stai sicuro che nel giro di un’ora tutti gli zingari, carabinieri, polizia, pompieri e pure gli autisti dell’Atac sapranno che cosa è successo). Sento il brigadiere che gli fa delle domande:
Brigadiere: “di chi è tutta questa roba?”, indicando un barile, uno di quelli di gasolio che era strapieno di rame squagliato.
Sefko: “bambini”, e indicava due ragazzini di 4 -5 anni massimo.
Brigadiere: “ma che, mi stai prendendo per il culo, come cazzo loro possono portare due quintali e mezzo di rame squagliato?”
Sefko: “ma che ne sanno bambini, signor brigadiere, quanto pesano due quintali e mezzo, sono solo bambini e ancora non vanno a scuola e non conoscono matematica.” Quando ho sentito la risposta di Sefko mi sono ammazzato di risate, ridevo cosi tanto che ho smesso di ridere dentro la caserma, perché mi hanno portato per accertamenti dei documenti, che io regolarmente non avevo.

Di fronte al campo ci stava un supermercato dove noi andavamo a fare la spesa, e siccome durante estate per l’intera settimana si andava in giro per vari paesini a chiedere l’elemosina, non si aveva il tempo di fare la spesa ogni giorno. Per ciò la grande spesa si faceva lunedì, perché il lunedì nessuno andava a chiedere l’elemosina; all’inizio non capivo perché, poi mi hanno spiegato che sabato e domenica ci sono i “ladri” che lavorano nel weekend, e quando è lunedì tutti fanno le denunce e i carabinieri o la polizia prendono tutti gli zingari che si trovano nella zona. La cosa bella è quando entrano venti zingari dentro un supermercato: la guardia giurata impazzisce, non sa chi deve seguire o chi deve guardare, praticamente la sua presenza è inutile. Come io ero in buoni rapporti con Marko, il ragazzo che gestiva il supermercato, gli dicevo sempre “manda via la guardia giurata e vedrai che non ti sparirà più roba dal supermercato”, “ma sei matto - mi diceva - cazzo adesso devo prendere pure un altro, tu sai quante confezioni di wurstel mi spariscono ogni settimana? Centinaia.”
Gli risposi: “scommettiamo che se tu mi dai retta non ti sparirà più niente? facciamo la prova, comunque non hai niente da perdere.” “Va bene”, non era tanto convinto ma ha accettato. Io conoscevo quello che era in grado di rubare da un supermercato pure la commessa che lavora, e sapevo che lui era l’incubo di Marko. Lo chiamo a disparte dicendogli se gli piacerebbe lavorare, e la prima cosa che mi ha detto è che lui non può fare lavori pesanti perché ha l’ernia del disco, indicandomi la spalla sinistra. Gli dissi “non ti preoccupare, il lavoro è leggero, non devi fare altro che impedire che gli zingari rubano dentro il supermercato. Mi guardava come se mi vedesse per la prima volta e mi rispose: “Toni, ma se io impedirò che altri rubano, come ruberò io?” Gli ho spiegato che lui dovrebbe fare il guardiano nel supermercato e impedire agli altri di rubare. L’unica risposta, che secondo me era pure sincera e sensata, fu ”Toni, io posso impedire a quelli che non sono della mia famiglia, ma non posso a quelli che sono della mia famiglia”. “Va beh” dico io, pensando, sono tre-quattro le persone della famiglia, il danno che possono fare è minimo, e gli chiesi “ma quanti siete voi in famiglia?” “180, senza contare i parenti lontani”. Morale della storia: hanno chiuso il Casilino 700. 


Il furgone
Io non mi sono mai considerato un ladro professionista, ma uno che si sapeva arrangiare nella vita, un po’ qua un po’ là e così la vita andava avanti. La mia decisione di smettere di fare il “Grande criminale” (cioè rubare wurstel nei supermercati) è stata presa una notte d’estate. Io e altri tre geni come me abbiamo sentito che alla stazione ferroviaria di Orte ci stava Rame, per rifare la rete elettrica. Per noi zingari il rame è come l’oro, lo puoi vendere a qualsiasi sfascio, lo puoi pure lavorare se sei bravo come artigiano, ma per me era sempre più facile venderlo. Secondo le informazioni di uno che è passato con il treno per Orte, a occhio e croce dovevano esserci al minimo due tonnellate di rame pulito, secondo la mia matematica a quei tempi erano circa sei milioni di lire. Tutti e quattro abbiamo deciso in modo democratico di andare a prendere ‘sto ben di dio, che in pratica ci veniva regalato dalle ferrovie. Ma si sa che due tonnellate di rame non puoi metterle su una spalla e portarle in giro, neanche con l’autobus o il treno, ci serviva un mezzo di trasporto. Uno di noi aveva un furgone, ma primo era piccolo, secondo era cosi macchiato che solo per andare dalla Casilina a Centocelle già lo fermavano due volte, perciò ci serviva un furgone serio, pulito e grande, un Ducati di quelli grandi dove puoi caricare subito tutta la roba. Abbiamo preso “in prestito” da un parcheggio una Fiat Uno e siamo andati alla ricerca di ‘sto benedetto furgone, e dopo vari tentativi lo abbiamo trovato a borgata Finocchio, alla periferia di Roma. Ma come stava appiccicato sotto la finestra della casa del proprietario, l’unico modo per prenderlo era spingerlo un po’ lontano da casa e così lo accendevamo. Detto fatto. Lo abbiamo spinto più di duecento metri lontano e il nostro genio della meccanica e autista, si siede dentro, mette tutti i fili per accenderlo, ma non c’è niente da fare, il furgone non partiva. Il secondo genio sale dicendo “ma tu non hai mai capito un cazzo di come si legano i fili, lascia fare a me”, si è messo a maneggiare con i fili, prova ad accenderlo, ma il furgone ottuso non dava segni di vita. Il primo genio dice “secondo me la batteria è scarica, proviamo ad accenderlo a spinta.” Per la nostra solita fortuna, il furgone era girato verso una piccola salita e per spingerlo abbiamo sudato, come si dice, sette camice, sia per il peso del furgone, sia per paura che passavano i carabinieri o la polizia. Dopo che lo abbiamo spinto per ulteriori trecento metri, il furgone non si accendeva ancora, uno dei geni ha proposto di spingerlo ancora e io ho detto “in tale caso spingiamolo direttamente fino a Orte”. Poi mi è venuto in mente che ogni tanto i proprietari levano dalla batteria il filo, magari perché difettoso e la scarica durante la notte. Apro il cofano del furgone e, con mio gran dolore, scoprii che dentro non che non ci stava la batteria, ma non ci stava l’intero motore. Che culo, con tutti i furgoni a Roma e nel Lazio noi andiamo a rubare un furgone senza motore. Come si erano fatte quasi le 6 di mattina, abbiamo deciso di tornare al campo con la Fiat che avevamo preso “in prestito”. Appena siamo partiti, abbiamo constatato che eravamo rimasti senza la benzina. Per tre chilometri siamo andati a piedi per prendere l’autobus; appena saliti, per la gioia dei nostri occhi, la prima cosa che abbiamo visto era un gruppo di controllori dei biglietti, che noi regolarmente non avevamo, e un poliziotto che andava al lavoro. Per farci la multa il controllore ci ha chiesto i documenti, che noi regolarmente non avevamo, e ci ha fatto scendere alla prima fermata. Che nottata!   

sabato 31 luglio 2010

Gipsy Balkan

Lucifero da le dimissioni

- Buon giorno signor Lucifero!
- Buon giorno, buon giorno. Voi siete, mi sembra, un Rom o no?

- Si, signor Lucifero, sono venuto...

- Lo so , lo so. Da voi Rom non posso più alzare la testa. E il Cosmo è cosi tranquillo, beati gli altri luciferi. Eh. Si proprio a me è capitato il peggiore pianeta, che tutto sommato devo confessare che per me è un onore, una cosa normale, ma quando è troppo è troppo.

Mi viene voglia di emigrare da questo pianeta e di andare farmi una bella lunga vacanza.

Si , si, si riposarmi e conoscere i veri diritti del male, non i lecca culi, non gli ipocriti e i doppiogiochisti.

Non ci sono quei bei tempi, caro il mio zingaro, quando il male era pulito, cosiddetto sincero e proprio umano. Oggi e tutto quanto pih……

Nè Dio è come era una volta, caro mio zingaro, pure lui si è lasciato andare, è invecchiato, sta guardando gli affari suoi, che a me sinceramente non sono tanto chiari. Ma questo è il suo problema, per mia fortuna.

Il mio personale, che voi zingari chiamate diavoli, tutti si sono ammalati. Per tutto il lavoro che fanno sono sfiniti. Tempo fa dovevano correre dietro il lavoro, si, si, oggi devono rimandare i clienti indietro. Ecco, che tempi sono diventati.

C’è qui un altro problema, siamo troppo stretti, ci manca lo spazio, tutto è strapieno. Dobbiamo mettere due persone in una pentola, più di due su uno spiedo, non vedi in che situazione catastrofica siamo. Si, si..

Ma mi è venuta un’idea, davvero una buona idea! Trasferirò l’inferno sulla terra, in ogni caso la terra questo è già. E cosi, caro mio zingaro, cosi stanno le cose, ma siccome io oggi sono di buon umore, ti darò un buon consiglio: non tornare sulla terra, in nome di Satana. Qui starete molto meglio, credete alla parola del Supremo dio di sotto terra.

martedì 6 aprile 2010

CREDO IN TE

Credo in te, amore mio. Credo nel tuo sorriso,
finestra aperta nel tuo essere.
Credo nel tuo sguardo,
specchio della tua onestà.
Credo nella tua mano,
sempre tesa per dare.
Credo nel tuo abbraccio,
accoglienza sincera del tuo cuore.
Credo nella tua parola,
espressione di quel che ami e speri.
Credo in te, amica mia,
così, semplicemente,
nell'eloquenza del silenzio.

TI VOGLIO BENE

Ti voglio bene non solo per quello che sei, ma per quello che sono io quando sto con te.
Ti voglio bene non solo per quello che hai fatto di te stesso, ma per ciò che stai facendo di me.
Ti voglio bene perchè tu hai fatto più di quanto abbia fatto qualsiasi fede per rendermi migliore,
e più di quanto abbia fatto qualsiasi destino per rendermi felice.
L'hai fatto senza un tocco, senza una parola, senza un cenno.
L'hai fatto essendo te stessa.
Forse, dopo tutto, questo vuol dire che ce oltre la frasi ti voglio bene.

RACCONTAMI

Non nascondere il segreto del tuo cuore,
ranocchia mia!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.

SOLITUDINE

Ho varcato i confini del mondo.
Ho rivisto i tuoi occhi nel mare.
Il mio sole tramontava e sorgeva con te.
Hai vissuto la mia solitudine
ho dormito adagiato su te.
Le tue labbra mi hanno sfamato
le tue braccia mi hanno tolto
la sete ed un giorno
il vento bastardo ti ha spento
per sempre il sorriso.
Ma tu vivi ed esisti dentro di me.
Altri mari potremo solcare.
Su altre spiagge potremo
sognare.

TI CERCO ALLA MIA PORTA

Stanotte ho sognato che eri tu,
che bussavi alla mia porta, ed io, io non ci credevo !
Eri tu , che eri venuta a prendermi, nella mia casa,
per portarmi via
A tutto pensavo, meno che tu fossi lì per catturare i miei pensieri ,
per perderci e ritrovarci ,per inebriarmi ancora di più di te.
Cosa avevi in mente io non lo sapevo ,
non si può entrare nei tuoi pensieri, così profondi,
così nascosti così perfetti e meravigliosi
io seppi solo lasciarmi andare il resto,
dolce amore mio ,lo sentivo,
lo stavi già facendo tu per rendere speciale la mia vita .
Stanotte ho sognato che ero io,
che bussavo alla tua porta, ed io,
non ci credevo . eri tu che aprivi ,
ed io venivo a prenderti,
nella tua casa ,per portarti via Io tutto credevo ,
meno che tu fossi lì ad aspettarmi e farti catturare dai miei pensieri ,
per chiamarci, perderci e ritrovarci ,
per inebriarci insieme ancora di più di noi.
Cosa avevo in mente io , tu non lo sapevi,
non si può entrare nei miei pensieri,
così nascosti, così reconditi
Io seppi solo lasciarti andare perderti ancora,
e non ritrovarti , riaddormentarmi , ricominciare a sognarti,
e ad aspettarti fino ultimo respiro

domenica 4 aprile 2010

E PESANTE ESSERE SOLO

E PESANTE ESSERE SOLO
Il sentimento e cosi stupido, quando rimani da solo
Non aiutano ne sigarette ne alcol
Non succede niente vorresti fare di tutto,ma non ti vae tu sei qui tra sogno e realtà
l’amore e un gioco pericoloso, sa ferirecon sbattimento della ciglia lei se ne andata
forse ritorna
forse non è comunque niente  come prima
un po ridi pur che sei inutile
ti chiedi perche la verità e cosi bruta
E quanto combatti
Non sei in grado di creare
Un filo di speranza nei pensieri.
vorresti stringerla
Per leggerla di nuovo a te fra tempo che lei ti scivola tra le dita
E sparisce
hai paura della solitudine
Fin che aspetti che qualcuno nuovo viene
E cosi pesante essere solo
O come e difficile essere da solo
tonizingaro

Prima goccia di pioggia

Prime gocce della pioggia
Squagliano il mio viso
Accarezzano e levano le tue traceIl vento sparpaglia i miei pensieri
Mi sento tradito
Imbrogliato
Ho paura fai le passeggiate da un sogno ad altro
Sei la proprietaria della mia solitudineurli, strilli dicendomi di andarmene
Poi a metta di strillo ti fermi,
dal mio sfigurato viso di dolore cade una lacrima
dimmi per favore non te ne andare amore mio
rimani per sempre con me diventi al meno una parte dei miei sogni
Antun Blazevic

giovedì 11 marzo 2010

UN RAGGIO DI SOLE

Aspetta!
Un raggio di sole
in mezzo ai fiori, che
il giorno riempiono,
braccia larghe per il domani,
ora sul sentiero di casa.
Guardo,
petali rosa creano
impronte
idee…
via sul campo dimenticate
nel vento,
disperse
di questo tempo
di un nulla contenente.
Un raggio di sole,
un'idea luminosa
fantastica
nasce… allo sbocciare di te
mio piccolo fiore,
dentro me,
nel mio cuore!

mercoledì 20 gennaio 2010

Bambini

Una mattina mi sono svegliato di soprassalto per le urla, esco fuori dalla roulotte e vedo una scena meravigliosa. Due pantere dei carabinieri di zona, che ci conoscevano tutti, e un brigadiere che parlava con il vecchio Sefko, che era considerato l’uomo di fiducia di tutto il campo (se uno vuole far sapere in giro una cosa, basta raccontarla a Sefko e raccomandargli di non dirlo a nessuno: stai sicuro che nel giro di un’ora tutti gli zingari, carabinieri, polizia, pompieri e pure gli autisti dell’Atac sapranno che cosa è successo). Sento il brigadiere che gli fa delle domande:
Brigadiere: “di chi è tutta questa roba?”, indicando un barile, uno di quelli di gasolio che era strapieno di rame squagliato.

Sefko: “bambini”, e indicava due ragazzini di 4 -5 anni massimo.

Brigadiere: “ma che, mi stai prendendo per il culo, come cazzo loro possono portare due quintali e mezzo di rame squagliato?”

Sefko: “ma che ne sanno bambini, signor brigadiere, quanto pesano due quintali e mezzo, sono solo bambini e ancora non vanno a scuola e non conoscono matematica.” Quando ho sentito la risposta di Sefko mi sono ammazzato di risate, ridevo cosi tanto che ho smesso ridere dentro la caserma, perché mi hanno portato per accertamenti dei documenti, che io regolarmente non avevo.

Lucifero da le dimissioni

- Buon giorno signor Lucifero! - Buon giorno, buon giorno. Voi siete, mi sembra, un Rom o no?
- Si, signor Lucifero, sono venuto...
- Lo so , lo so. Da voi Rom non posso più alzare la testa. E il Cosmo è cosi tranquillo, beati gli altri luciferi. Eh. Si proprio a me è capitato il peggiore pianeta, che tutto sommato devo confessare che per me è un onore, una cosa normale, ma quando è troppo è troppo.
Mi viene voglia di emigrare da questo pianeta e di andare farmi una bella lunga vacanza.
Si , si, si riposarmi e conoscere i veri diritti del male, non i lecca culi, non gli ipocriti e i doppiogiochisti.
Non ci sono quei bei tempi, caro il mio zingaro, quando il male era pulito, cosiddetto sincero e proprio umano. Oggi e tutto quanto pih……
Nè Dio è come era una volta, caro mio zingaro, pure lui si è lasciato andare, è invecchiato, sta guardando gli affari suoi, che a me sinceramente non sono tanto chiari. Ma questo è il suo problema, per mia fortuna.
Il mio personale, che voi zingari chiamate diavoli, tutti si sono ammalati. Per tutto il lavoro che fanno sono sfiniti. Tempo fa dovevano correre dietro il lavoro, si, si, oggi devono rimandare i clienti indietro. Ecco, che tempi sono diventati.
C’è qui un altro problema, siamo troppo stretti, ci manca lo spazio, tutto è strapieno. Dobbiamo mettere due persone in una pentola, più di due su uno spiedo, non vedi in che situazione catastrofica siamo. Si, si..
Ma mi è venuta un’idea, davvero una buona idea! Trasferirò l’inferno sulla terra, in ogni caso la terra questo è già. E cosi, caro mio zingaro, cosi stanno le cose, ma siccome io oggi sono di buon umore, ti darò un buon consiglio: non tornare sulla terra, in nome di Satana. Qui starete molto meglio, credete alla parola del Supremo dio di sotto terra.

venerdì 15 gennaio 2010

Il viaggiatore

Buon giorno a te mondo,
di nuovo ci vediamo perché devo riprendere il mio viaggio dentro le tue viscere.
Buon giorno a te fiume
e di nuovo ti ringrazio che mi permetti di specchiarmi e vedere la mia faccia stanca ma felice.
Buon giorno a tutti voi
che ho lasciato e quelli che incontrerò durante il mio viaggio,
a tutti quelli che mi amano e odiano,
buon giorno a voi belli e brutti.
Eccomi di nuovo qui,
all’alba pronto per partire alla ricerca,
per trovare la strada giusta
verso i cuori degli essere umani.
Per dirvi che esisto, creato da Devla,
per amare ed essere amato per quello che sono e non per quello che vorreste che io sia.
Buon giorno a tutti, miei compagni di viaggio, e a tutti voi che mi starete vicino durante la ricerca di un mondo migliore accompagnato dal sole, la luna e le stelle, lavato dalla pioggia e asciugato dal vento, accompagnato dalla danza e la musica.

Bambini

Corrono sorridenti e felici
per i campi pieni di fiori di tutti i colori,
loro non pensano a domani,
cantano e ballano fino la sera,
fino a che i loro corpi non si stancheranno. Poi, quando calerà il sole,
si metteranno intorno al fuoco mangiando la carne bollita.
Dopo la cena, ascolteranno le vecchie storie dei loro nonni e padri,
poi pian piano, si addormenteranno nelle braccia delle loro madri,
che li porteranno dentro i carri,
che domani, di nuovo, partiranno verso i paesi sconosciuti
 in cerca di qualche pezzo di pane e qualche denaro.
Domani andranno verso una nuova piccola città
verso il loro destino,
ma domani deve ancora arrivare.

“La Notte dei cristalli”

Ricordi

La nebbia sottile mi impedisce di trovarmi con me stesso,
è inutile che cerco di correre per i verdi boschi della mia infanzia:
non ci sono più,
li hanno colorati di rosso,
li hanno recintati con le voci sottili dei bambini spaventati,
con i fantasmi dei caduti per gli ideali.
Li hanno circondati con i fiumi fatti con le lacrime delle vedove e delle madri disperate, con
i ponti costruiti dagli scheletri degli invincibili.
E io?
E io adesso che cosa faccio qui da solo con me stesso?
E’ passato il tempo di piangere, di correre, è passato tutto …
lo so che tutto questo che mi circonda non mi appartiene più,
qui non c’è più niente di mio, né nebbia né boschi,
mi hanno portato via tutto.
L’unica cosa che non potranno mai portarmi via sono i ricordi:
loro sono miei e mi appartengono.
un giorno o una notte, quando riusciranno a portarmeli via
io non esisterò più.


“La Notte dei cristalli”
Nella notte di novembre hanno sciolto i cani addestrati dai guinzagli, bestie feroci non consapevoli.
Quella notte sono rimasti tanti figli senza genitori, le ragazze senza i ragazzi, quella notte……..
Quella notte li hanno caricati sui treni per bestiami, trattandoli come tali, anzi peggio, quella notte…..
Quella notte le loro destinazioni erano Buchenwald e Sachsenhausen, Dachau, le periferie delle città fatte solo per loro, quella notte….
Quella notte si sono resi conto che non torneranno mai più a casa loro, non vedranno mai più i loro cari, quella notte…..
Quella notte tra 9 e 10 novembre 1938 sarà per sempre nei miei pensieri e nelle memorie di mio nonno, quella notte….
Quella notte sarà per sempre ricordata come  “La Notte dei cristalli”senza la luna e le stelle….
Quella notte……

Aquila

lo amo la tua libertà, amo il tuo modo di vivere,
amo tutto quello che hai.
Ti invidio, e odio tutti quelli
che mi hanno tolto quello che tu hai.
Ma un giorno di nuovo ti seguirò,
quando volerai sulle montagne,
quando berrai l'acqua dei ruscelli,
e in quel momento
di nuovo sarò felice.
Bellissima


Tu,

bellissima ragazza che cammini

per le strade della città

e fai bollire il sangue ai ragazzi giovani

e vecchi, che fai litigare i mariti con le mogli,

i fidanzati con le fidanzate,

per colpa del tuo corpo e del tuo sguardo provocante.

Tu,

che sei causa di incidenti delle macchine ai semafori quando chiedi l’elemosina,

che sei esposta agli sguardi delle guardie giurate nei metro,

che sei un pericolo per gli autisti dell’Atac

e per i controllori dei biglietti,

che non ti fanno la multa per la tua bellezza.

Tu,

bellissima con gli occhi di colore smeraldo,

con il corpo da ninfa e che con il tuo sorriso beffardo ottieni tutto quello che vuoi,

che cammini cantando le canzoni di Jovanotti,

vendendo le rose per piazza Navona

per favore, tieni le tue sottili mani lontano dalla mia tasca!



Il campo



Là dove si è fermato il carro,

i bambini non ridono più.

Le donne non ballano accompagnate dalla musica.

Là dove si è fermato il carro,

non si sentono i sospiri del desiderio dei giovani amanti,

non si sente più il profumo dell’amore libero.

I fiori sono stati coperti dal cemento,

non si sentono rumori degli alberi al vento.

Là dove si è fermato il carro

è cominciata la fine della libertà,

che non è mai esistita.

Là dove ci hanno fermato il carro è ritornata la storia degli anni ‘40.

Là dove si è fermato il carro

hanno costruito un campo degli zingari.

Le stelle

Voi, che mi orientate nei miei viaggi durante la notte, che non cambiate mai il vostro volto, per favore non vi nascondete dietro le nuvole, altrimenti mi perderò.

Non fate le egoiste, aiutatemi insieme con la luna a trovare la strada verso il mio accampamento, mi aspettano i miei figli e la mia famiglia.

Vi supplico,

in nome del vostro padre universo, di non ostacolare il mio viaggio perché mi devo sbrigare, mi è rimasto così poco tempo per insegnare ai miei figli quello che io ho imparato da mio padre.

Non ho più il tempo di asciugare le lacrime agli innamorati, disperati e felici, con la mia musica.

Non ho il tempo, sono rimasti solo pochi attimi per un incontro solenne con Devla,

che decide se noi zingari moriamo felici o tristi.

sabato 9 gennaio 2010

Antun Blazevic

Questo sono io, mi piace tutta la musica ma preferisco la mia musica "zingara" che mi fa sentire profumi della terra da dove sono venuto, e non mi permete di dimenticare chi sono. Tanta gente crede di conoscerci ma non é vero, tanti ricercatori che volevano fare le ricerche su di noi sono caduti nella retorica e demagogia,la qualcosa non ci ha aiutato ha trovare la formula magica di integrazione. Il fallimento di tale integrazione non dipendeva e non dipende solo da noi: la nostra voglia di integrarci nella società “civile”, di entrare nel mondo del lavoro, di dare un avvenire diverso ai nostri figli, di pensare da soli ai nostri mezzi di sopravvivenza, si è scontrata e si scontra con l’associazionismo, voluto e incoraggiato dalle istituzioni. Se in un certo senso l’opera delle Associazioni ha aiutato i Rom a superare alcune situazioni di emergenza (la fame, il freddo, qualche grave situazione sanitaria), però ha contribuito in maniera pesante, e spero non irreparabile, a bloccare la nostra crescita sociale, con una sorta di super-protezionismo in cui tanti di noi si sono adagiati, rinunciando a qualsiasi forma di indipendenza e di autonomia sul decidere da soli in merito ai nostri problemi.

sabato 21 novembre 2009

SPETTACOLO TEATRALE

MANDRO DROM
“IL MIO VIAGGIO”

Ideato e interpretato da
Antun Blazevic “Tonizingaro”

Collaboratrice dei testi
Federica Lobar

Regia
Paola Cereda

Musiche
Paolo Rocca

Gruppo “Gipsy Balkan”
Marian Serban
Florian Mihai "Albert"
Tanasache Marin "Isak"

Gruppo “Flor Negra”
Matteo Morosetti “El Rubio”
Paolo Rossetti “Muritu”

Danzatrici
Barbara Giannantoni
Carmencita Mileo Falasca
Federica Lobar “ La Nina”
Ilaria Viola
Sara Cola

Domenica 20 DICEMBRE 2009 ore 21.00
TEATRO “ LO SPAZIO” - VIA LOCRI, 42 – S.GIOVANNI
PRENOTAZIONI 06 77076486 ore 16,00/19,30
 info@teatrolospazio.it

venerdì 14 agosto 2009

Desiderio

Desidero di dirti le frasi più profonde
di quelle che ti ho detto.
Ma ho paura,
che ti metti ridere di me.
Per questo rido a me stesso,
raccontando secreto a me stesso.
Facilmente prendo il mio dolore,
per paura che lo tu potresti fare.
Desidero di dirti le sincere parole;
ma ho paura che tu diventi sospettosa.
Per questo gli vesto nell’ abito della bugia.
Lasciando che il mio dolore sembra stupido
Avendo la paura che tu lo potresti fare
Desidero di dirti
le frasi più belle del mondo.
Ma ho paura
che non mi rispondi in stesso modo
Per quest’uso le brutte parole
e me vanto che sono uno duro
Ti causo dolore avendo la paura
che tu non saprai mai che esso significa.
Desidero di sederti vicino
ma ho paura che il mio cuore mi esca
dal petto.
Per questo dico le cavolate e parlo tanto,
per coprire il mio cuore con le parole.
In modo violento prendo il mio dolore
per paura che me lo prendi tu.
Desidero di lasciarti per sempre
ma ho paura che scopri la mia vigliaccheria
Per questo orgogliosamente alzo la testa.
Le frecciatine dai tuoi occhi fanno
che il mio dolore e ancora più grande.

Le parole di Toni

Toni lo conosco ormai da diversi anni, di più, da tutta la vita perché dopo averlo conosciuto non puoi più prescindere da lui. L’espressione dei suoi occhi, il suo volto sono un’evento in sé. Un intero paesaggio umano e culturale in cui si è magicamente iscritta un epopea tragica e gloriosa quella del popolo degli “uomini”, questo è il significato nella lingua romanes della parola rom, uomo. A noi altri ci definiscono gagè che ci identifica per il non essere rom. Questa distinzione mi è familiare, è caratteristica anche degli ebrei di definire con una parola unica il non ebreo ovvero goy che significa semplicemente gente. Toni che pure ha assunto su di sé in profondità il destino e la vocazione del popolo rom è in realtà un “meticcio”: suo padre è un rom ma la madre una gagè. Sarà per questo forse che ha scelto di chiamarsi provocatoriamente Toni Zingaro. La parola zingaro è profondamente scorretta, iniqua. Intanto è un eteronimo, ovvero una definizione della cultura di maggioranza dominante creata per confinare in un folklorismo del pregiudizio una minoranza che non si vuole conoscere, con la quale non si vuole entrare in una relazione di reciprocità, ma che al massimo si vuole descrivere. Toni la assume su di sé e nelle proprie parole deliberatamente, come sfida e come sberleffo. Io se fosse possibile, auspicherei che il massimo numero di persone in questo nostro malandato paese che pencola pericolasamente verso il razzismo e la xenofobia potesse conoscere Toni per imparare da lui alcuni principi semplici e fondamentali come la vita stessa. Toni sa parlare al cuore degli uomini, ma sa parlare anche all’anima delle cose che noi giudichiamo sprovviste di linguaggio. Quando lo misi per la prima volta su un palcoscenico teatrale a fare “l’attore”, all’ultimo giorno di prova fu preso da un panico irrefrenabile e si sbronzò furiosamente, ma dato che aveva preso un impegno con me si rimise in condizioni di sobrietà, e passò tutta la notte prima del debutto a parlare col teatro per mettersi d’accordo. Lo spettacolo fu un vero trionfo, soprattutto grazie a lui che aveva toccato l’anima del teatro. So che la gran parte di voi, potenziali lettori, non conoscerà Toni, peccato! Ma potete leggere le sue parole, liriche e bastarde, semplici e profonde, beccatevi nello stomaco i pugni dei suoi finali a sorpresa e dopo che avrete letto i versi di Toni Zingaro, al secolo Antun Blazevic, fateli leggere a chi vi è caro, ma anche a chi non lo è, a pagamento possibilmente, raccomandate loro di farle leggere ad altri e ad altri ancora perché noi abbiamo bisogno dei Toni Zingaro molto, ma molto di più di quanto loro abbiano bisogno di noi.


Moni Ovadia